martedì 9 aprile 2013

L’«altro» nemico_testo scelto


ll libro (vedi unior.it) che ho scelto di leggere si presenta come una raccolta di lezioni del corso di Relazioni interetniche del corso di Laurea Specialistica di Scienze Politiche de L’Orientale di Napoli, scritto dal prof. Claudio Marta (scomparso nel 2008, antropologo prestigioso che sin dall’inizio degli anni ’80 si impegna, da studioso e da attivista, nelle battaglie per i diritti degli immigrati, dei Rom e dei Sinti contestando la politica dei «campi nomadi») in collaborazione con Ciro De Rosa e Gianluca Gatta.
 
Ogni capitolo di questo libro è una lezione; e come in ogni corso - o percorso - non si può comprendere la singola spiegazione se non la si integra con le altre indissolubilmente. Infatti l’esordio del libro ne riassume la fine, senza che noi ce ne rendiamo conto. Alcuni concetti che oggi echeggiano, rimbombano e ci colpiscono attraverso i mezzi di comunicazione di massa, sono entrati nel nostro linguaggio senza conoscerne il vero significato e la loro origine: “etnie”, “folk”, “Vulk”, “culture”, civiltà”, “società”, “popolo”, “razza”, “minoranza”, “identità”, “stereotipo”, “nazione”, “stato”. Questi termini vengono utilizzati in modo diverso in relazione alla storia, alla politica, all’economia, al diritto dei diversi paesi del mondo occidentale e il loro significato si è sempre modificato nel tempo, adattandosi al contesto di riferimento e alle situazioni contingenti. Con il Positivismo, estremizzazione di quella necessità illuministica di conoscere razionalmente tutto lo scibile umano, nascono nuove materie di studio, tra le quali anche l’Antropologia nella moderna accezione, il “sapere della differenza”, lo studio dell’«altro», di chi è diverso culturalmente da “noi”, e del modo con cui “noi” rappresentiamo l’«altro» e l’«altro» rappresenta “noi”. Concetti, teorie, casi di studio vengono presentati nel libro, ci raccontano della fallacia di molti approcci e analisi che si sono susseguiti in secoli o decenni di storia occidentale, delle risoluzioni di alcuni “conflitti etnici” e delle rivendicazioni, delle ideologie, delle politiche che si attivano in relazione a questi fenomeni.  
Le relazioni interetniche: un tema che mette in relazione politica, società, ideologie, da quelle volte all’eliminazione fisica di determinati gruppi (i genocidi, lo sterminio nazista, le politiche di sterilizzazione forzata in Svezia), alle politiche d’immigrazione degli Stati Uniti, paese che per primo si è confrontato con il tema dell’integrazione delle “differenze etniche”( dall’assimilazionismo dell’Anglo-Conformity, al melting pot, al pluralismo culturale dell’ orchestra di Kallen), e dell’Europa a partire dal secondo dopoguerra (Francia e Germania e le braccia per un’Europa da ricostruire, gli “ospiti”, i flussi migratori, la chiusura delle frontiere e la clandestinità) . In epoca moderna affiorano diverse politiche improntate sul multiculturalismo (le pratiche di integrazione degli immigrati nel Regno Unito e in Svezia) e la questione dei diritti umani nella prospettiva antropologica, seguendo le tappe del dibattito tra universalismo e relativismo culturale, teorie che hanno prodotto diversi effetti nei vari casi di studio analizzati. Gli esiti di queste politiche non sempre sono vincenti e spesso vengono messe in discussione dal nuovo razzismo e anti-islamismo post 11 settembre. Caso a parte costituisce il laboratorio di cittadinanza multiculturale canadese (il Quebec ).

Le politiche migratorie in Italia nascono negli anno ’80, quando il paese migrante diventa paese d’immigrazione: la “Grande Emigrazione “ oltre l’Atlantico, le migrazioni in Europa negli anni ’20, lo status di rifugiati durante il Fascismo, gli anni ’50 e l’esportazione di manodopera, la drastica riduzione delle migrazioni negli anni ’70 della crisi post-fordista, lo sviluppo del settore terziario e i nuovi scenari produttivi e lavorativi, il crollo dei regimi socialisti e i migranti dell’Europa dell’Est, la stabilizzazione di nuovi migranti in Italia. Le prime leggi italiane sulle migrazioni non affrontano sistematicamente la questione degli ingressi, ma predispongono continue sanatorie, nasce la figura dell’extracomunitario, della Fortezza-Europa e l’inquietudine per l’immigrazione clandestina. Le leggi rispondono ad emergenze (L.943/86, Legge Martelli L.39/90, il disegno di legge restrittivo del primo governo Berlusconi nel 1995, D.l. 489/95 la nuova sanatoria di Dini). La prima legge organica è la Turco-Napolitano L.40/98, che si regge sull’integrazione e il sistema delle quote di ingresso. Si è timidi nel percorrere la strada della cittadinanza e i Ctp ( Centri di Permanenza Temporanea) diventano luoghi di sospensione del diritto. La legge, ritenuta troppo permissiva, viene modificata nella filosofia di fondo del testo dalla Bossi-Fini L.189/02 in senso restrittivo. La proposta di melting pot Amato-Ferrero del 2007 cade con il governo Prodi. L’immigrazione in Italia è sempre stata affrontata come una questione di ordine pubblico, misconosciuta a livello fisiologico dello scenario globale, l’idea dell’invasione, del pericolo, della marginalità e della criminalità, la generalizzazione degli stranieri, la produzione di leggende metropolitane e l’attuale fenomeno dell’islamofobia e del terrorismo fanno parte della società odierna.
Gli etnonazionalismi baschi in Spagna e in Irlanda del Nord e le guerre della ex-Jugoslavia degli anni ’90 non sono più conflitti tra stati, ma coinvolgono le popolazioni civili, gruppi paramilitari irregolari e vedono schierati uno contro l’altro dei gruppi etnici. L’etnicità diventa il nuovo paradigma per interpretare i nuovi conflitti post-Guerra Fredda, anche se le spiegazioni culturaliste oscurano le cause economiche, sociali e politiche che stanno alla base dello scontro. Questa visione riduzionista riprende dal passato una concezione primordialista dei legami etnici. La rivendicazione di autonomia statuale sulla base del riconoscimento di un’identità etnico-nazionale ha lo scopo di proteggere quel gruppo ed escludere fuori dai propri confini chi resta fuori; esasperare le barriere fino alla pulizia etnica e praticare l’omogeneizzazione forzata di un territorio. “creare” gruppi e ritagliare in maniera arbitraria alcuni elementi ha portato nella ex-jugoslavia ad effettuare gravi abusi sul concetto di etnia.

I Rom sono una delle “minoranze” più discriminate i Europa, se così la vogliamo definire. Negli anni ’70 si è iniziato a parlare di identità Rom e si salvaguardia della loro cultura in tutta la sua complessità, rapportandola ai contesti economici e sociali concreti in cui vivono. La presunta incompatibilità con la società maggioritaria ha finito per prescrivere forme di segregazione e discriminazione razziale, fino a forme di aggressione. La varietà dei sottogruppi “zingari” trova come elemento comune la lingua romanes, anche se ibridata nelle diverse versioni locali e contestualizzata all’insediamento. In Italia il numero delle presenze oscilla tra le 110 mila e le 160 mila persone, di cui 70 mila cittadini italiani. Tra i gruppi di antico insediamento troviamo i Sinti del Nord Italia dediti tradizionalmente allo spettacolo viaggiante; quelli dell’Italia centro-meridionale risalgono al XV secolo. Alla fine dell’800 si sono insediati gruppi dalla Moldavia e dalla Valacchia, mentre quelli più recenti provengono dalla ex-Jugoslavia. Il dibattito sulle minoranze linguistiche in Italia ha avvalorato la tesi territorialista, che esclude le comunità di lingua non italiana che appaiono nomadi, disperse o che non caratterizzano tradizionalmente alcun territorio. Il nomadismo ha condizionato pesantemente e negativamente le politiche italiane, assolutizzando un tratto culturale  come alibi per non intervenire a favore delle popolazioni. La logica dei campi ha portato questa gente ad una rinomadizzazione forzata, all’unica soluzione abitativa possibile, come un problema sociale di ordine pubblico. Riconoscere la cultura rom come una specificità etnica da tutelare è necessario, ma per averne la garanzia bisogna comprendere il significato specifico che ciò assume nelle politiche di integrazione. E’ a livello locale e regionale che ci sono i maggiori problemi in quanto il coordinamento nazionale sugli interventi è assente e se ci sono rispondono alla logica dell’emergenza. Dagli anni ’60 si sono attuate politiche di integrazione sulla scolarizzazione secondo teorie che sono andate dall’assimilazionismo, all’integrazionismo, all’educazione interculturale degli anni ’90, in cui si riconosce la bilateralità dell’obbligo da parte delle P.A. e delle famiglie dei bambini rom. L’approccio complesso al problema, il relativismo culturale di base non ha portato a risultati concreti a causa dell’assenza di coordinamento nazionale. A livello europeo, il Consiglio d’Europa ha attivato dal 1996 il Comitato di Esperti sui Rom e i Viaggianti, il quale ha promosso diverse Raccomandazioni in materia di istruzione, lavoro, condizioni abitative, accesso alla sanità. Il Consiglio d’Europa e altri organismi europei hanno spesso, negli ultimi anni, criticato l’Italia per non aver operato in favore della rimozione degli ostacoli ad una piena integrazione dei Rom e dei Sinti. La concessione dei diritti di cittadinanza e politiche nazionali organiche e durature sul tema aiuterebbero ad abbandonare equazioni come zingari=criminali, zingari=ladri, zingari=ordine pubblico.

 

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