lunedì 22 aprile 2013

Architettura e Modernità_alla ricerca di un BANG!


Parte Quinta. gli anni del linguaggio: 1968-77
20. Nuove libertà

Lo spirito nuovo di liberazione della primavera del 1968 esplode e si espande come un Big Bang in ogni dimensione e traiettoria: artistica, sociologica, politica, filosofica. La società dei grandi numeri e delle manifestazioni pubbliche cerca di espandersi attraverso il personal computer, come affermazione personale della propria autonomia rispetto alle istituzioni che fino ad ora avevano detenuto il potere di calcolo. E’ un giocattolo rivoluzionario che permette di costruire e trasformare il mondo, è ormai un prodotto di consumo non più alienante come era considerato nell’immediato dopoguerra. I benefici del progresso superano le perplessità iniziali.

Sperimentazioni diagonali
La creazione spaziale all’inizio degli anni ’70 è alla ricerca di dinamicità, trasversalità, di percorsi che frammentano piani, rampe, piattaforme a diverse quote (Claude Parent, Padiglione Francese alla Biennale di Venezia, 1970). L’architettura e l’arte si ibridano e si sperimentano a vicenda.
In architettura il tema della liberazione viene affrontato da Günther Benisch nel Parco Olimpico di Monaco del 1972, nel quale l’idea del villaggio si traduce in una tensostruttura che si estende oltre lo stadio: trasparenza, vitalità, apertura.
Nel 1971 John Johansen dà corpo ad una musica che esplode nello spazio del Mummers Theater ad Oklahoma City. Si presenta in pezzi autonomi che si compongono attraverso le corde dei suoi tubi-percorsi. L’edificio non esiste più, è uno strumento, la scatola è smantellata.
Renzo Piano e Richard Rogers vincono il concorso per il centro di arte contemporanea ricavato dall’abbattimento dei mercati delle Halles nel centro di Parigi. Il Centre Pompidou è un’architettura senza stile nella quale tutti i sistemi di circolazione sono posizionati all’esterno per lasciare l’interno a disposizione dei diversi e mutevoli utilizzi, anche nel tempo. La libera fruizione dell’arte rende l’opera libera, senza immagine e ancillare al suo contenuto. La tendenza High Tech sconvolge l’idea industriale di architettura ed esalta la sua componente efficientistica. Il programma si basa sulla fruizione libera nello spazio e nel tempo.

La partecipazione
La società degli anni ’60 ha mutato i propri valori culturali per accogliere scelte multiple; si scopre che esistono scale intermedie dell’abitare, dove non c’è più una netta distinzione tra lo spazio privato e quello pubblico, tra la casa e la strada. L’architettura delle relazioni è uno spazio partecipato nel quale l’architetto perde la propria posizione dogmatica per accogliere le indicazioni dei fruitori attivi. Lucien Kroll nel 1969 è invitato dagli studenti a progettare un edificio di dormitori per gli studenti della facoltà di medicina di Woluwé attraverso lo scambio di idee, di esperienze, di soluzioni secondo un processo di assemblaggio.  Il collage informale, il patchwork mette in crisi le macrostrutture che si costruiscono contemporaneamente in tutto il mondo occidentale per accogliere una sperimentazione che riproporziona continuamente spazi comuni, privati, terrazze, vegetazione che si insinuano vicendevolmente nell’edificio.
Anche il Team X partecipa al concorso di case sperimentali a Lima come banco di prova dell’abitare alternativo. Ricordiamo le case a Delft di Hermann Hertzberger del 1967, il Villaggio Matteotti di De Carlo a Terni, il complesso a Ivry di Jean Renaudie.
Il Cohousing è stato lanciato e realizzato da Jan Gudmand-Høyer e persegue i principi di: multigenerazionalità degli utenti, uso collettivo di alcuni spazi e servizi, territorialità, progettazione, costruzione e gestione “dal basso”. Lo studio Tegnestuen VandKunsten realizza su questi principi il complesso Savværket nel quale lungo un percorso coperto segmentato da spazi ad “L”, si aprono attrezzature soft edge tra la sfera privata e pubblica. Sullo stesso tema ritroviamo Ralph Erskine con il Byker Wall a New Castle, attento alla realtà degli utenti e alle loro specificità culturali; il suo approccio non esclude gli esiti formali, in quanto il grande Wall è un landmark, e nemmeno quelli per tessuto, rivolti alla micro-scala residenziale e alle relazioni della comunità.

 

 

 

 

 

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