domenica 14 luglio 2013
mercoledì 26 giugno 2013
martedì 18 giugno 2013
Partnership_AK0
Architettura a Kilometro 0
Svolge attività sperimentale, didattica, ricerca e pratica professionale. Si è formato nel 2009 con l'obiettivo di studiare metodi di progettazione collettiva e sistemi costruttivi con impronta ambientale sostenibile; è un do-tank le cui azioni sono ancorate alla realtà d'intervento ma con imput culturali e tecnologici provenienti da un network a scala mondiale.
I servizi che il gruppo fornisce sono:
_progettazione di sistemi costruttivi con materiali naturali
_sviluppo di soluzioni costruttive finalizzate all’impiego di materiali di riciclo e/o scarti di lavorazione
_coordinamento di processi di progettazione e costruzione partecipativi con il coinvolgimento degli utenti finali e/o della comunità locale
_attività formative per scuole primarie e secondarie
_attività didattico-sperimentali in ambito accademico
_studi e ricerche su prestazioni energetiche dei sistemi costruttivi
_indagini sul potenziale di trasformazione di contesti socio-economici informali
I servizi che il gruppo fornisce sono:
_progettazione di sistemi costruttivi con materiali naturali
_sviluppo di soluzioni costruttive finalizzate all’impiego di materiali di riciclo e/o scarti di lavorazione
_coordinamento di processi di progettazione e costruzione partecipativi con il coinvolgimento degli utenti finali e/o della comunità locale
_attività formative per scuole primarie e secondarie
_attività didattico-sperimentali in ambito accademico
_studi e ricerche su prestazioni energetiche dei sistemi costruttivi
_indagini sul potenziale di trasformazione di contesti socio-economici informali
Projects:
2012
PROTOTIPO CASA DEI MESTIERI
Marina di Sibari (CS), ItaliaRealizzazione di un modulo sperimentale in legno e pisé con funzione di prototipo per il progetto Casa dei Mestieri Cerro La Grenadilla, Guatemala.In collaborazione con MezzosangueLab, MasterHousing di Roma Tre e Associazione Sulla Strada Onlus.
2012
INTERNINTERRA
Sirmione (BS), Italia
Finiture e complementi di arredo in terra cruda in una casa storica sul Lago di Garda.
In cooperazione con Arch. Fabio Furiani e Associazione Nazionale Città della Terra Cruda.
2011
NIDO DI BAMBU'
Stiava (LU), Italia
Guscio reticolare in bambù splittato della Versilia (Phyllostachis viridiglaucenses)
Workshop didattico-sperimentale in cooperazione con Associazione Italiana Bambù (AIB) e Il Bambuseto.
2011
AK0XMH (con Sandro Sancineto)
Casalincontrada (CH), Italia
Piccolo modulo abitativo autocostruito in legno, terra cruda e canna di fiume.
Workshop didattico all'interno del Corso Housing - nuovi modi di abitare tra innovazione e trasformazione, Master di II° livello promosso dall’Università di Roma Tre.
2010
S-BAM.IT
Roccamontepiano (CH), Italia
Struttura multifunzionale in bambù italiano, legno e terra cruda. Prototipo costruito nell'ambito di un workshop didattico internazionale.
2009
SHELLter
Roccamontepiano (CH), Italia
Prototipo per un modulo abitativo d'emergenza autocostruito in legno, terra cruda e canna di fiume.
Workshop didattico-sperimentale
Background:
2008
RITI DEL COSTRUIRE (con Caterina Padoa Schioppa)
Roma, Italia
Struttura multireligiosa per l’ateneo di Roma Tre realizzata nell’ambito di un workshop didattico-sperimentale. Sistema alveolare presso-teso in cartone ondulato di riciclo.
2008
PLASTICHE PULITE (con Piergiorgio Rossi e Monica Preziuso)
Velletri (RM), ItaliaCopertura per la tribuna temporanea di un campo da calcio spontaneo.
Progetto scolastico di educazione ambientale.
2005
MERCATINO DI CARTA (con Piergiorgio Rossi)
Morano Calabro (CS), ItaliaPadiglioni progettati ed autocostruiti da studenti di architettura ed alunni di scuola media.
Progetto scolastico di educazione ambientale.
SUN-RICE (con V. Varano, M. Kavalirek e s.e.l.f. - officina di architettura)
Roma, Italia
Prototipo di copertura tessile in rafia sintetica riciclata.
LIXO VIRA LUXO (con L. Cicalini)
Murici (Alagoas), Brasile
Progetto di educazione ambientale con bambini di una comunità rurale brasiliana.
2004
CENTRO DI FORMAZIONE PER RAGAZZI DI STRADA (con s.e.l.f. - officina di architettura)
Murici (Alagoas), Brasile
2001
CENTRO DI ASSISTENZA ALIMENTARE (con Luigi Rebecchini)
Quartiere di Derrier-Wharf, Abidjan, Côte d’Ivoire
1999
CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE FEMMINILE
Quartiere di Derrier-Wharf, Abidjan, Côte d’Ivoire
Marina di Sibari (CS), ItaliaRealizzazione di un modulo sperimentale in legno e pisé con funzione di prototipo per il progetto Casa dei Mestieri Cerro La Grenadilla, Guatemala.In collaborazione con MezzosangueLab, MasterHousing di Roma Tre e Associazione Sulla Strada Onlus.
2012
INTERNINTERRA
Sirmione (BS), Italia
Finiture e complementi di arredo in terra cruda in una casa storica sul Lago di Garda.
In cooperazione con Arch. Fabio Furiani e Associazione Nazionale Città della Terra Cruda.
2011
NIDO DI BAMBU'
Stiava (LU), Italia
Guscio reticolare in bambù splittato della Versilia (Phyllostachis viridiglaucenses)
Workshop didattico-sperimentale in cooperazione con Associazione Italiana Bambù (AIB) e Il Bambuseto.
2011
AK0XMH (con Sandro Sancineto)
Casalincontrada (CH), Italia
Piccolo modulo abitativo autocostruito in legno, terra cruda e canna di fiume.
Workshop didattico all'interno del Corso Housing - nuovi modi di abitare tra innovazione e trasformazione, Master di II° livello promosso dall’Università di Roma Tre.
2010
S-BAM.IT
Roccamontepiano (CH), Italia
Struttura multifunzionale in bambù italiano, legno e terra cruda. Prototipo costruito nell'ambito di un workshop didattico internazionale.
2009
SHELLter
Roccamontepiano (CH), Italia
Prototipo per un modulo abitativo d'emergenza autocostruito in legno, terra cruda e canna di fiume.
Workshop didattico-sperimentale
Background:
2008
RITI DEL COSTRUIRE (con Caterina Padoa Schioppa)
Roma, Italia
Struttura multireligiosa per l’ateneo di Roma Tre realizzata nell’ambito di un workshop didattico-sperimentale. Sistema alveolare presso-teso in cartone ondulato di riciclo.
2008
PLASTICHE PULITE (con Piergiorgio Rossi e Monica Preziuso)
Velletri (RM), ItaliaCopertura per la tribuna temporanea di un campo da calcio spontaneo.
Progetto scolastico di educazione ambientale.
2005
MERCATINO DI CARTA (con Piergiorgio Rossi)
Morano Calabro (CS), ItaliaPadiglioni progettati ed autocostruiti da studenti di architettura ed alunni di scuola media.
Progetto scolastico di educazione ambientale.
SUN-RICE (con V. Varano, M. Kavalirek e s.e.l.f. - officina di architettura)
Roma, Italia
Prototipo di copertura tessile in rafia sintetica riciclata.
LIXO VIRA LUXO (con L. Cicalini)
Murici (Alagoas), Brasile
Progetto di educazione ambientale con bambini di una comunità rurale brasiliana.
2004
CENTRO DI FORMAZIONE PER RAGAZZI DI STRADA (con s.e.l.f. - officina di architettura)
Murici (Alagoas), Brasile
2001
CENTRO DI ASSISTENZA ALIMENTARE (con Luigi Rebecchini)
Quartiere di Derrier-Wharf, Abidjan, Côte d’Ivoire
1999
CENTRO DI FORMAZIONE PROFESSIONALE FEMMINILE
Quartiere di Derrier-Wharf, Abidjan, Côte d’Ivoire
I miei interlocutori:
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Arch. Laura Di Virgilio |
L'incontro nello studio Officina Architettura dell'arch. Stefan Pollak
_Appuntamento: 17.6.2013 ore 10.30
Tanta tensione all'ingresso, ma nel momento in cui Laura Di Virgilio mi accoglie alla porta dello studio...l'ansia cresce!
Vedo subito il libro di Urban Voids di A. Saggio sulla sua scrivania...e mi sento accolta... Stavano aspettando me!
- Presentazione del progetto con gli elaborati grafici con Laura di Virgilio e Stefan Pollak
- Introduzione delle varie tecniche costruttive con materiali naturali (PISE', ADOBE, pannelli di QUINCHA.) e di esempi di progetto compatibili al mio progetto a cura di Laura di Virgilio.
- Individuazione di nuovi livelli di intervento soprattutto per incrementare l'appetibilità economica del progetto e l'autosostentamento:
- Laboratorio di autocostruzione all'aperto, con masterclass trimestrali con alloggio incluso. Realizzazione di un PROGETTO DI MASSIMA che verrà realizzato dai partecipanti alle classi; alla fine del corso gli edifici verranno smontati e rimontati dal corso seguente, riciclando gli stessi materiali o impiegando quelli provenienti dall'ISOLA ECOLOGICA. Piccola area dedicata alla sperimentazione di nuove tecniche e materiali.
- ISOLA ECOLOGICA per il recupero dei MATERIALI DA COSTRUZIONE.
- Fondazione di una piccola ditta autocostruttrice specializzata in ALLESTIMENTO DI SCENOGRAFIE ecoTEATRALI.
- Ricerca espressiva attraverso il trattamento dell'INVOLUCRO e di molti ELEMENTI STRUTTURALI con materiali naturali e tecniche di autocostruzione, per dare unitarietà agli spazi delle piattaforme.
- Realizzazione per il LIVING TEMPORANEO di MODULI FISSI in autocostruzione e moduli mobili-componibili realizzati dal laboratorio di autocostruzione in base alle prenotazioni durante gli eventi musicali.
- SPAZIO COPERTO dedicato alle lezioni frontali con sale riunioni e uffici amministrativi.
- Dedicare il REBUILDING NATURE alla produzione a kilometro e a costo 0 dei materiali da impiegare per il laboratorio.
- Realizzazione PROGRESSIVA del teatro al chiuso ATTRAVERSO IL CONTRIBUTO DEI CITTADINI ATTIVI: ARENIAMOCI! ognuno può donare dei sacchetti di terra per costruire le mura in pisè del teatro; sarà inciso il nome dei contribuenti su ogni strato murario dello spessore di 15 cm! Quindi il teatro sarà non il punto di partenza progettuale, ma la META di un percorso condiviso! Questa sarà la DRIVING FORCE: REALIZZARE IL TEATRO! Come la TORRE DI BABELE solo se ci sarà la collaborazione di tutti il progetto potrà essere concluso, o meglio potrà INIZIARE; altrimenti esso cadrà e sarà il segnale della completa chiusura culturale della nostra città!
_Conclusione dell'incontro ore 13.08!!!!!! Direi che abbiamo di netto superato la mezz'ora di collaborazione che avevo richiesto agli architetti!!!!!!!
GRAZIE AK0! Se volete aggiungere qualche nota riguardo ilo nostro incontro vi prego di lasciare un commento qui sotto!
lunedì 17 giugno 2013
Partnership_Pino Petruzzelli
Pino Petruzzelli

Nel 2012 scrive il monologo teatrale
“L’ultima notte di Dietrich Bonhoeffer”.
Dal 2000 è direttore
artistico del Festival teatrale “Tigullio a teatro” a Santa Margherita
Ligure.
Collabora con il giornale “Il Fatto Quotidiano” e con il
portale di approfondimento “Cado in piedi” attraverso suoi blog.
L'intervista "telefonica"
Rapita dall'estratto di “Zingari: l’Olocausto dimenticato” al Teatro Valle Occupato il 7 aprile 2013(nonché giorno del mio compleanno!) in occasione della Giornata internazionale dei rom e dei sinti di Roma, faccio delle ricerche sul net e decido di contattare per e-mail l'autore dello spettacolo!La sua disponibilità e la sua amichevole cordialità mi hanno assolutamente sorpreso ed entusiasmato, e la conversazione telefonica Roma-Genova è stata un ottima occasione di confronto e scambio. Cerco di riassumere con domande "strette" il conetnuto di una telefonata tutt'altro che formale e poco colloquiale!
Roma come ben sa, è una città xenofoba, chiusa nei confronti dei rom e della loro cultura. Il suo teatro si trova a Genova. Quali differenze riscontra tra queste città a livello di apertura culturale?
Genova e Torino sono indubbiamente le città culturalmente più aperte d'Italia, città che mi hanno dato la possibilità di rappresentare le mie opere teatrali con un rilievo considerevole. Portare la cultura roma al Palazzo Ducale di Genova (http://www.palazzoducale.genova.it/naviga.asp?pagina=14414), la sede più importante della città, è indubbiamente un'ottima occasione per esporre e mettere in evidenza questi temi. Molto spesso la forma diventa il principale tramite, biglietto da visita per mettere in evidenza dei contenuti. Se il luogo della rappresentazione è prestigioso, il valore dell'oggetto cambia considerevolmente: se si edita un libro da Einaudi o da una casa sconosciuta cambia la clientela, la distribuzione del contenuto e quindi l'attenzione verso il tema!
Secondo Lei, la proposta progettuale di uno spazio teatrale e di spazi performativi all'aperto e permeabili, quali influenze avrebbe nelle suo tipo di rappresentazione teatrale, o in generale per altre performance gitane?
Uno spazio del genere potrebbe essere interessante. Per quanto mi riguarda, nel momento in cui metto in scena uno spettacolo mi confronto prima con lo spazio, lo studio, e mi adatto alla sua conformazione.
Cosa pensa delle intenzioni progettuali e della modalità con cui sto cercando di affrontare la questione dell'integrazione e soprattutto dello scambio culturale con la/e comunità rom di Roma?
Già occuparsi della questione rom è un grande passo in avanti. E il fatto di pensare alla cultura come mezzo attraverso cui innescare un processo di partecipazione è sicuramente una strategia vincente. Se non c'è rispetto per la cultura, non ce ne sarà nemmeno per chi la possiede.
GRAZIE PINO!
P.S. Se vuoi aggiungere qualche nota sulla nostra conversazione ti prego di lasciare un commento qui sotto!
lunedì 10 giugno 2013
lunedì 22 aprile 2013
Lucien Kroll_Maison Medicale ("MéMé") Bruxelles_1970/75
BANG: Ensamble
Maison Medicale ("MéMé") Università di Louvain_Woluwè-St.Lambert (Bruxelles)_ 1970/75
L'invenzione collettiva


Architettura e Modernità_alla ricerca di un BANG!
Parte Quinta. gli anni del linguaggio:
1968-77
20. Nuove libertà
Lo
spirito nuovo di liberazione della primavera del 1968 esplode e si espande come
un Big Bang in ogni dimensione e traiettoria: artistica, sociologica, politica,
filosofica. La società dei grandi numeri e delle manifestazioni pubbliche cerca
di espandersi attraverso il personal
computer, come affermazione personale della propria autonomia rispetto alle
istituzioni che fino ad ora avevano detenuto il potere di calcolo. E’ un
giocattolo rivoluzionario che permette di costruire e trasformare il mondo, è
ormai un prodotto di consumo non più alienante come era considerato
nell’immediato dopoguerra. I benefici del progresso superano le perplessità
iniziali.
Sperimentazioni diagonali
La
creazione spaziale all’inizio degli anni ’70 è alla ricerca di dinamicità,
trasversalità, di percorsi che frammentano piani, rampe, piattaforme a diverse
quote (Claude Parent, Padiglione Francese alla Biennale di Venezia, 1970).
L’architettura e l’arte si ibridano e si sperimentano a vicenda.In architettura il tema della liberazione viene affrontato da Günther Benisch nel Parco Olimpico di Monaco del 1972, nel quale l’idea del villaggio si traduce in una tensostruttura che si estende oltre lo stadio: trasparenza, vitalità, apertura.
Nel 1971 John Johansen dà corpo ad una musica che esplode nello spazio del Mummers Theater ad Oklahoma City. Si presenta in pezzi autonomi che si compongono attraverso le corde dei suoi tubi-percorsi. L’edificio non esiste più, è uno strumento, la scatola è smantellata.
Renzo Piano e Richard Rogers vincono il concorso per il centro di arte contemporanea ricavato dall’abbattimento dei mercati delle Halles nel centro di Parigi. Il Centre Pompidou è un’architettura senza stile nella quale tutti i sistemi di circolazione sono posizionati all’esterno per lasciare l’interno a disposizione dei diversi e mutevoli utilizzi, anche nel tempo. La libera fruizione dell’arte rende l’opera libera, senza immagine e ancillare al suo contenuto. La tendenza High Tech sconvolge l’idea industriale di architettura ed esalta la sua componente efficientistica. Il programma si basa sulla fruizione libera nello spazio e nel tempo.
La partecipazione
La
società degli anni ’60 ha mutato i propri valori culturali per accogliere
scelte multiple; si scopre che esistono scale intermedie dell’abitare, dove non
c’è più una netta distinzione tra lo spazio privato e quello pubblico, tra la
casa e la strada. L’architettura delle relazioni è uno spazio partecipato nel
quale l’architetto perde la propria posizione dogmatica per accogliere le indicazioni
dei fruitori attivi. Lucien Kroll nel
1969 è invitato dagli studenti a progettare un edificio di dormitori per gli
studenti della facoltà di medicina di Woluwé attraverso lo scambio di idee, di
esperienze, di soluzioni secondo un processo di assemblaggio. Il collage informale, il patchwork mette in crisi le macrostrutture che si costruiscono
contemporaneamente in tutto il mondo occidentale per accogliere una
sperimentazione che riproporziona continuamente spazi comuni, privati,
terrazze, vegetazione che si insinuano vicendevolmente nell’edificio. Anche il Team X partecipa al concorso di case sperimentali a Lima come banco di prova dell’abitare alternativo. Ricordiamo le case a Delft di Hermann Hertzberger del 1967, il Villaggio Matteotti di De Carlo a Terni, il complesso a Ivry di Jean Renaudie.
Il Cohousing è stato lanciato e realizzato da Jan Gudmand-Høyer e persegue i principi di: multigenerazionalità degli utenti, uso collettivo di alcuni spazi e servizi, territorialità, progettazione, costruzione e gestione “dal basso”. Lo studio Tegnestuen VandKunsten realizza su questi principi il complesso Savværket nel quale lungo un percorso coperto segmentato da spazi ad “L”, si aprono attrezzature soft edge tra la sfera privata e pubblica. Sullo stesso tema ritroviamo Ralph Erskine con il Byker Wall a New Castle, attento alla realtà degli utenti e alle loro specificità culturali; il suo approccio non esclude gli esiti formali, in quanto il grande Wall è un landmark, e nemmeno quelli per tessuto, rivolti alla micro-scala residenziale e alle relazioni della comunità.
lunedì 15 aprile 2013
E’ qui New Babylon?
FRANCESCO CARERI: dal suo blog ARTI CIVICHE, l'articolo delle sue esperienze:
(articolo pubblicato su "lo squaderno n°18" “, The value of places / Il valore dei luoghi, December 2010, pp. 61-65, traduzione inglese dal link)
(articolo pubblicato su "lo squaderno n°18" “, The value of places / Il valore dei luoghi, December 2010, pp. 61-65, traduzione inglese dal link)
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New Babylon di Constant Niewenhuys |
La prima volta che incontro Constant è nel suo studio ad Amsterdam nel gennaio 2000. Parliamo di New Babylon ville nomade, del rapporto che lui aveva con i gitani (parlavamo in francese), del terrain vague come spazio neobabilonese. Per tutta risposta mi indica una grande finestra tappata, e mi racconta che dietro c’era un terrain vague in cui fino a dieci anni prima si accampava un gruppo di Sinti, facevano fuochi, feste e musica e lui ogni tanto andava a trovarli. Era diventato amico di alcuni musicisti gitani con cui facevano delle serate e suonavano nelle feste degli amici. Finchè i Sinti se ne erano dovuti andare per far posto al nuovo quartiere, e lui aveva deciso di chiudere la finestra con un cartone: non si vedeva più niente di interessante, New Babylon non c’era più, si era spostata in qualche altro terrain vague della Terra. È da allora che mi chiedo se il terrain vague debba essere l’unico luogo disponibile all’abitare dei Rom o se non si possano immaginare luoghi dove sperimentare New Babylon più stabilmente. Se il popolo Rom porta veramente con sé i semi di New Babylon, e se nei loro accampamenti ci sia veramente una New Babylon in nuce. Soprattutto se non sia possibile cominciare a lavorare con loro per costruire una New Babylon che non sia né una baraccopoli infestata di ratti né una megastruttura ipertecnologica.
Nell’agosto del 2005 Constant è morto. Ho il rimpianto di non essere mai riuscito ad organizzare un suo viaggio a Roma a trovare Stalker che in quegli anni lavorava al Campo Boario insieme a tante comunità straniere, tra cui i Rom Kalderasha. Pochi giorni dopo la notizia decido di partire per un pellegrinaggio ad Alba a cercare l’accampamento dei Sinti Piemontesi dove tutto era cominciato. Insieme ad Armin Linke e Luca Vitone andiamo a Torino ad incontrare la figlia Martha che ci mostra le foto di famiglia, e poi ad Alba a vedere se esistono ancora i Sinti che nell’autunno del 1956, Constant aveva incontrato accampati nel terreno di Pinot Gallizio . Li troviamo là, ancora accampati sulle rive del Tanaro, non più con i carri e i cavalli delle foto in bianco e nero, ma in casette di muratura con portici e tettoie per le roulotte, un piccolo quartiere di casette con giardino costruito abusivamente sotto la continua minaccia di un esondazione del fiume o di uno sgombero delle forze dell’ordine. Per loro Constant aveva elaborato il suo primo progetto architettonico, l’Accampamento degli Zingari di Alba, l’inizio di quella utopia concreta sviluppata nei venti anni successivi come New Babylon: la città nomade che dopo la rivoluzione situazionista avrebbe abolito il lavoro, la necessità di una dimora stabile e di che avrebbe abitato una terra senza frontiere ramificandosi in una deriva continua, realizzando una nuova umanità itinerante e multiculturale: il popolo errante dei neobabilonesi. Ripartiti dall’accampamento di Alba comincio a pensare che i situazionisti in realtà non avevano saputo sfruttare appieno l’occasione che gli si presentava. Invece di misurarsi con le reali necessità dell’accampamento sinto, si erano rifugiati nella teoria, nella politica e nell’utopia architettonica . Il campo dei Sinti avrebbe potuto essere un terreno comune in cui mettere in campo le loro capacità creative e relazionali, in cui sperimentare l’autocostruzione di una città multiculturale da progettare e realizzare in forma ludica, interdisciplinare e partecipante, in cui insomma verificare quella nuova disciplina estetica e politica di trasformazione dello spazio che avevano chiamato urbanismo unitario.
Ad Alba non vedo la New Babylon nomade che idealizzavo, ma un modo di vivere più stabile e comprendo anche che se lasciati vivere in pace i cosiddetti “nomadi” sanno dare forma stabile ai loro desideri abitativi. I Sinti di Alba saranno spostati in campo nomadi tra il canile municipale ed il carcere dove non saranno più liberi di costruirsi le loro case e il loro habitat, come tutti gli altri “nomadi” di questo paese. Anche per loro sarà attivata quell’urbanistica del disprezzo che li confina tra le discariche in attesa che il valore dei terreni salga per essere poi ciclicamente spostati . Nel loro futuro non c’è nessuna New Babylon.
Nell’agosto del 2005 Constant è morto. Ho il rimpianto di non essere mai riuscito ad organizzare un suo viaggio a Roma a trovare Stalker che in quegli anni lavorava al Campo Boario insieme a tante comunità straniere, tra cui i Rom Kalderasha. Pochi giorni dopo la notizia decido di partire per un pellegrinaggio ad Alba a cercare l’accampamento dei Sinti Piemontesi dove tutto era cominciato. Insieme ad Armin Linke e Luca Vitone andiamo a Torino ad incontrare la figlia Martha che ci mostra le foto di famiglia, e poi ad Alba a vedere se esistono ancora i Sinti che nell’autunno del 1956, Constant aveva incontrato accampati nel terreno di Pinot Gallizio . Li troviamo là, ancora accampati sulle rive del Tanaro, non più con i carri e i cavalli delle foto in bianco e nero, ma in casette di muratura con portici e tettoie per le roulotte, un piccolo quartiere di casette con giardino costruito abusivamente sotto la continua minaccia di un esondazione del fiume o di uno sgombero delle forze dell’ordine. Per loro Constant aveva elaborato il suo primo progetto architettonico, l’Accampamento degli Zingari di Alba, l’inizio di quella utopia concreta sviluppata nei venti anni successivi come New Babylon: la città nomade che dopo la rivoluzione situazionista avrebbe abolito il lavoro, la necessità di una dimora stabile e di che avrebbe abitato una terra senza frontiere ramificandosi in una deriva continua, realizzando una nuova umanità itinerante e multiculturale: il popolo errante dei neobabilonesi. Ripartiti dall’accampamento di Alba comincio a pensare che i situazionisti in realtà non avevano saputo sfruttare appieno l’occasione che gli si presentava. Invece di misurarsi con le reali necessità dell’accampamento sinto, si erano rifugiati nella teoria, nella politica e nell’utopia architettonica . Il campo dei Sinti avrebbe potuto essere un terreno comune in cui mettere in campo le loro capacità creative e relazionali, in cui sperimentare l’autocostruzione di una città multiculturale da progettare e realizzare in forma ludica, interdisciplinare e partecipante, in cui insomma verificare quella nuova disciplina estetica e politica di trasformazione dello spazio che avevano chiamato urbanismo unitario.
Ad Alba non vedo la New Babylon nomade che idealizzavo, ma un modo di vivere più stabile e comprendo anche che se lasciati vivere in pace i cosiddetti “nomadi” sanno dare forma stabile ai loro desideri abitativi. I Sinti di Alba saranno spostati in campo nomadi tra il canile municipale ed il carcere dove non saranno più liberi di costruirsi le loro case e il loro habitat, come tutti gli altri “nomadi” di questo paese. Anche per loro sarà attivata quell’urbanistica del disprezzo che li confina tra le discariche in attesa che il valore dei terreni salga per essere poi ciclicamente spostati . Nel loro futuro non c’è nessuna New Babylon.
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Campo nomadi abusivo di Alba |
Dopo la visita di Alba mi rendo conto che bisogna andare là dove i situazionisti si sono fermati, nella concretezza spietata dei campi nomadi, e comprendo anche quanto idealizzare il nomadismo non fa che aumenti la nostra distanza e l’ignoranza riguardo al mondo dei Rom. Forse bisogna capire che cosa di New Babylon può essere utilizzato per cercare una risposta alternativa concreta ai campi nomadi. Forse di deve trovare insieme a loro un terreno comune dove sperimentare l’Urbanismo Unitario nelle nostre condizioni storiche, senza l’abolizione del lavoro e senza che si sia mai realizzata la rivoluzione situazionista. Dal 2006 con Stalker ci immergiamo con tutto il corpo nelle molteplici forme di abitare forzato dell’universo nomade . Visitiamo decine di insediamenti, baraccopoli, case di lamiera di cartone e di mattoni, tende, casali occupati, villaggi dentro fabbriche dismesse, aree di transito, campi autorizzati a diventare bidonville senza acqua né luce né fogne, campi attrezzati con container dove crescono sovraffollandosi intere generazioni senza documenti né identità e infine la risposta tecnicamente più avanzata ideata dalle istituzioni per fronteggiare l’“emergenza nomadi”, i famigerati “villaggi della solidarietà”.
Sono le nuove “città per i nomadi” che saranno esportate nel resto di Italia e forse in Europa, la loro “città a parte”, il loro apartheid: stati di eccezione segreganti, fuorilegge perché creati con legislazioni di emergenza e in deroga alle leggi e agli standard abitativi, lontani e invisibili dalla città, disegnati come stretti filari di container sovraffollati, con reti metalliche tutto intorno, telecamere di videosorveglianza a circuito chiuso, ingresso vigilato 24 ore su 24, impossibilità di entrare anche per i parenti stretti. Gli abitanti di questi nuovi campi di concentramento non portano un numero stampato sul braccio ma, dopo essere stati fotosegnalati e schedati, gli viene distribuito il DAST , un documento che serve a entrare e uscire dai campi con orari stabiliti, non oltre le dieci di sera, non prima delle sei di mattina. Chi rifiuta i campi o sfugge alla schedatura cercando una sua strada alternativa si trasforma definitivamente in “clandestino”, e potrà essere rinchiuso, senza processo e senza aver commesso reato, in un C.I.E (Centro di Identificazione ed Espulsione). e forse rimpatriato in una patria che non ha mai conosciuto (la maggioranza di loro sono nati e cresciuti in Italia). Entrando in questo mondo capisco quanto siano equivoche le parole campo e nomadi, un alibi per inchiodare nei campi sosta chi avrebbe voluto continuare ad essere nomade o seminmede come i Sinti e i Rom Kalderacha, e per nomadizzare in una vita costantemente precaria chi nomade non era mai stato e invece aveva una casa come molti profughi delle guerre dei Balcani, a cui per sempre sarà negato il diritto a una casa.
Inutile dire che New Babylon non è in nessuno di questi campi.
Sono le nuove “città per i nomadi” che saranno esportate nel resto di Italia e forse in Europa, la loro “città a parte”, il loro apartheid: stati di eccezione segreganti, fuorilegge perché creati con legislazioni di emergenza e in deroga alle leggi e agli standard abitativi, lontani e invisibili dalla città, disegnati come stretti filari di container sovraffollati, con reti metalliche tutto intorno, telecamere di videosorveglianza a circuito chiuso, ingresso vigilato 24 ore su 24, impossibilità di entrare anche per i parenti stretti. Gli abitanti di questi nuovi campi di concentramento non portano un numero stampato sul braccio ma, dopo essere stati fotosegnalati e schedati, gli viene distribuito il DAST , un documento che serve a entrare e uscire dai campi con orari stabiliti, non oltre le dieci di sera, non prima delle sei di mattina. Chi rifiuta i campi o sfugge alla schedatura cercando una sua strada alternativa si trasforma definitivamente in “clandestino”, e potrà essere rinchiuso, senza processo e senza aver commesso reato, in un C.I.E (Centro di Identificazione ed Espulsione). e forse rimpatriato in una patria che non ha mai conosciuto (la maggioranza di loro sono nati e cresciuti in Italia). Entrando in questo mondo capisco quanto siano equivoche le parole campo e nomadi, un alibi per inchiodare nei campi sosta chi avrebbe voluto continuare ad essere nomade o seminmede come i Sinti e i Rom Kalderacha, e per nomadizzare in una vita costantemente precaria chi nomade non era mai stato e invece aveva una casa come molti profughi delle guerre dei Balcani, a cui per sempre sarà negato il diritto a una casa.
Inutile dire che New Babylon non è in nessuno di questi campi.
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Savorengo Ker |
In alternativa ai campi di container dell’apartheid della solidarietà, nel luglio del 2008 insieme ai Rom del Casilino 900 costruiamo Savorengo Ker , che in lingua romanés significa “la casa di tutti”, una piccola casetta in legno costata un terzo di un container, ideata, progettata e realizzata direttamente da chi avrebbe voluto andarci ad abitare. Una casa manifesto che intende dire che i Rom non sono più nomadi, che vogliono una casa e che sanno organizzarsi tra loro e lavorare per costruirla. Una casa non solo per i Rom ma per tutte quelle persone che oggi si trovano in emergenza abitativa e a cui è negata la possibilità di una terra su cui costruire in modo stabile la propria vita. La costruzione della casa è uno dei momenti più alti di condivisione tra le nostre culture, un momento di convivialità di gioco e di partecipazione, un mese di utopia collettiva vissuta e abitata profondamente da tutti. La cosa più importante che tutti impariamo è che lo spazio dell’integrazione si produce attraverso un atto di creazione collettiva, in cantiere, costruendo insieme la propria casa, mangiando la sera di fronte al fuoco, ragionando insieme su cosa costruire il giorno successivo mettendo in comune le proprie competenze e le proprie aspirazioni. Sperimentiamo e dimostriamo nei fatti che le buone relazioni di vicinato, di pianerottolo, di condominio si possono costruire lavorando gomito a gomito, che la città si può costruire passandosi il martello e i chiodi. New Babylon si può realizzare inchiodando insieme le tavole di un tetto.
Qualche tempo dopo dalla prefettura di Latina arriva l’invito a partecipare alla realizzazione di un campo nomadi utilizzando il nostro modello di casa. Rispondiamo che Savorengo Ker era un simbolo che intendeva annullare l’idea stessa di campo, era l’inizio di un processo che avrebbe fatto evolvere il Casilino in un quartiere interculturale e quel quartiere in una città. Non un campo fatto di cloni di Savorengo Ker al posto dei container, ma case tutte diverse nate dalle relazioni con gli abitanti, una New Babylon di desideri abitativi che bisogna fare emergere insieme ai Rom in un processo di ascolto e trasformazione reciproca. Savorengo Ker è stata bruciata da ignoti nel dicembre del 2008, il Casilino 900 è stato sgomberato nel gennaio 2010, i suoi abitanti abitano oggi nei villaggi della solidarietà. Ma Savorengo Ker è stata una straordinaria avventura neobabilonese.
Qualche tempo dopo dalla prefettura di Latina arriva l’invito a partecipare alla realizzazione di un campo nomadi utilizzando il nostro modello di casa. Rispondiamo che Savorengo Ker era un simbolo che intendeva annullare l’idea stessa di campo, era l’inizio di un processo che avrebbe fatto evolvere il Casilino in un quartiere interculturale e quel quartiere in una città. Non un campo fatto di cloni di Savorengo Ker al posto dei container, ma case tutte diverse nate dalle relazioni con gli abitanti, una New Babylon di desideri abitativi che bisogna fare emergere insieme ai Rom in un processo di ascolto e trasformazione reciproca. Savorengo Ker è stata bruciata da ignoti nel dicembre del 2008, il Casilino 900 è stato sgomberato nel gennaio 2010, i suoi abitanti abitano oggi nei villaggi della solidarietà. Ma Savorengo Ker è stata una straordinaria avventura neobabilonese.
Savorengo Ker dopo il rogo |
Dopo il rogo di Savorengo Ker la sfida è rilanciare a una scala più grande, non una casa ma un insieme di case, una sorta di condominio in autocostruzione non solo con i rom ma anche con gli italiani e includendo anche altri migranti. Bisogna dimostrare che non solo i Rom sanno organizzarsi per lavorare e che sono abili costruttori, ma che possono costruire la propria casa insieme ad altre culture e che possono essere ottimi vicini di casa per tutti. In attesa che questo semplice concetto venga compreso dalle amministrazioni e dai politici (si sa che ogni politica in favore dei rom non fa guadagnare consensi ma fa perdere voti) abbiamo cominciato a lavorare dove questo sta già succedendo. Da qualche settimana abbiamo cominciato a lavorare al Metropoliz, una ex fabbrica dismessa sulla via Prenestina, poco prima del grande Raccordo Anulare, in cui coabitano circa duecento persone provenienti da Perù, Santo Domingo, Marocco, Tunisia, Eritrea, Sudan, Ucraina, Polonia, Romania e Italia . A differenza di tutte le altre occupazioni a scopo abitativo di Roma, a Metropoliz sono stati inclusi i Rom. Sono cento Rom provenienti dalla Romania, che hanno rifiutato i DAST, i campi nomadi e i villaggi della solidarietà. A Metropoliz sta nascendo uno spazio meticcio inclusivo, non un luogo etnico per soli Rom, ma un processo di autocostruzione multiculturale che mette in gioco più culture abitative, valorizza le competenze e le capacità costruttive e stimola la convivenza degli abitanti. Una donna peruviana mi ha detto che gli altri occupanti quando avevano saputo che ci sarebbero stati i Rom si erano disperati, pensavano che non avrebbero fatto uscire i bambini e che si sarebbero tappati in casa, ma invece dopo le prime settimane di convivenza hanno realizzato che il problema era infinitamente più piccolo di come se lo erano figurato, che adesso c’è qualche problema ma come in ogni normale relazione di condominio. Suo marito, anche lui peruviano, è il coordinatore della squadra edilizia di questa città in trasformazione permanente. Mi ha raccontato che tra lui, l’elettricista marocchino, i muratori africani, i camionisti rom e l’idraulico e il vetraio italiani, parlano una lingua mista di arabo, rumeno, italiano ed eritreo, con parole che anche se pronunciate male o addirittura trasformate in altre, sono ormai comprensibili a tutti. La settimana scorsa con gli studenti abbiamo recuperato una grande sala dove venivano essiccati i salumi e l’abbiamo trasformata in aula, il suo nome è Pidgin Makam .
Pidgin è una lingua semplificata che si sviluppa come mezzo di comunicazione tra due o più gruppi venuti a contatto a seguito di migrazioni o colonizzazioni e che non hanno un linguaggio in comune . La parola Pidgin deriva dalla scorretta pronuncia cinese dell'inglese busines, ed è una lingua costruita con parole sbagliate o mal pronunciate, che permette di costruire una prima comunicazione tra diversi.
Makam in arabo vuol dire “luogo” ma è anche un vocabolo musicale che indica un sistema di melodie aperto a composizioni e improvvisazioni dove la componente ritmica temporale non è soggetta a organizzazioni predefinite.
Pidgin Makam è lo spazio del reciproco apprendimento di questo nuovo condominio neobabilonese.
Pidgin è una lingua semplificata che si sviluppa come mezzo di comunicazione tra due o più gruppi venuti a contatto a seguito di migrazioni o colonizzazioni e che non hanno un linguaggio in comune . La parola Pidgin deriva dalla scorretta pronuncia cinese dell'inglese busines, ed è una lingua costruita con parole sbagliate o mal pronunciate, che permette di costruire una prima comunicazione tra diversi.
Makam in arabo vuol dire “luogo” ma è anche un vocabolo musicale che indica un sistema di melodie aperto a composizioni e improvvisazioni dove la componente ritmica temporale non è soggetta a organizzazioni predefinite.
Pidgin Makam è lo spazio del reciproco apprendimento di questo nuovo condominio neobabilonese.
mercoledì 10 aprile 2013
Testi a confronto_suggestioni
La forza dell’architettura sta nell’affrontare le
dinamiche sociali, economiche, politiche in una prospettiva futura attraverso
la sperimentazione di nuovi strumenti. Nell’era macchinista la produzione in
serie era il metro cui conformarsi e da cui trarre ispirazione per la risoluzione
delle problematiche sociali della classe operaia: lo standard era la risposta per
un’esistenza che avesse caratteristiche quantitative minime alla vita e per
raggiungere prestazioni di qualità. Ridurre per massimizzare, una soluzione, un
metodo, un programma, un vassoio. Non volendo minimizzare ma anzi estremizzare
il discorso riconnettendolo ai giorni nostri, il mondo continua a intraprendere
percorsi che cercano sempre di mettere in discussione qualsiasi forma di
determinismo. La complessità, l’integrazione, l’evoluzione sono elementi che
indicano quanto la processualità faccia parte della nostra cultura. E’ così che
Baumann rappresenta la società del nostro mondo urbanizzato, con le differenti fratture culturali che non
corrono parallele le une alle altre, ma si intersecano formando una
configurazione sempre mutevole di fratture trasversali (come nel Museo Ebraico di Libeskind). Come nell’architettura,
c’è bisogno ogni volta di rinegoziare i confini, di non abbandonarsi all’uniformità,
ma porsi in una condizione di continua ricerca. Bisogna essere universali pur
utilizzando strumenti relativi, pronti riadeguarsi alle nuove esigenze. E’ per
questo che vorrei legare il mio discorso ad una prospettiva odierna: la
continuità tra architettura, ambiente ed elettronica è lo strumento a
disposizione degli architetti di oggi. Se questa è l’epoca dell’informazione, dove
gli spazi sono invisibili in una prospettiva di interscambio globale senza
limiti temporali, in cui l’architettura si fa viva attraverso esseri
informatici ed è non solo multi-sensoriale ma si fa sensore stesso, se è questa
la cultura di oggi ed è questo il nostro campo d’azione per la nuova
architettura, come faranno altre culture a conciliarsi e non entrare in
conflitto se non adeguandosi? Non si può pensare ad un’ assimilazione delle
differenze, nemmeno ad un melting pot asettico di più elementi senza
distinzione. L’idea vincente è quella del pluralismo culturale, del
multiculturalismo, del mosaico, della tassellizzazione, in quanto non
esisterebbe un organismo senza le sue parti,
una protesi senza la guida di un organo, magari una copertura flessibile
e unificante come quella del Mercato di
Santa Caterina a Barcellona senza i suoi elementi colorati a ravvivare le
facciate delle abitazioni vicine. E’ necessario il controllo di tutti questi
fenomeni a livello generale e collettivo, ma nel pieno rispetto delle piene
libertà individuali ed espressive.
martedì 9 aprile 2013
Architettura e Modernità_la lettura e l'interpretazione
Parte settima_Il
successo dell’architettura nel mondo: 1988-2000
Peter Eisenman risponde in modo nuovo al problema del movimento attraverso l’operazione del blurring, cioè sovrapponendo singoli movimenti rotatori che sfocano e negano l’immagine di partenza; un’azione che genera spazi audaci di cui ha consapevolezza solo chi sa lavorare sulla sezione (Aronoff Centro per le Arti, Cincinnati, 1988-97). Folding, grafting, scaling generano spazi ricchi, multisfaccettati, ibridi, dinamici.
Frank Gehry concepisce i suoi spazi come una scena teatrale in cui i suoi personaggi-volumi possono esprimersi, seguendo percorsi e traiettorie scultoree e configurando spazi racchiusi nell’abito più comodo possibile. Il protagonista è lo spazio e il suo pubblico la sua pelle in un rapporto di reciproca dipendenza. L’architetto dimostra al mondo come l’architettura possa essere un catalizzatore di eventi, di economia, di socialità, come nel Museo di Bilbao: il consumismo diventa una pratica architettonica, entra a far parte della società come episodio, come fenomeno condivisibile da tutti.
Il fermento storico di quegli anni non può lasciare
nell’indifferenza architetti di vecchia e nuova generazione. Il “secolo breve”
si è concluso, i blocchi internazionali si sono lacerati e i confini geografici,
culturali, identitari sono materia plastica da rimodellare secondo le nuove
esigenze della società post-fordista che vuole liberarsi dalle rigide norme
internazionali. La rottura è il concetto che sta alla base della nuova era
informatica, in cui l’immagine drammatica del mondo dopo la crisi degli anni
’70 non poteva più essere ricomposta riassemblandone i pezzi. Decostruire, un’immagine che non lascia
spazio alla ricomposizione di ciò che è andato distrutto, ma che anzi apre la
possibilità agli architetti contemporanei di poter guardare lo spazio in modo
trasversale. L’unico modo per comunicare con l’esterno è scatenando emozioni
forti e destabilizzando le menti, attraverso ambienti che nel loro dispiegarsi
ci turbano, si muovono ed evocano simboli ed immagini. Così Libeskind pensa il
suo Museo Ebraico, o Steve Holl il Kiasma.
La crisi del sistema industriale dà l’opportunità alla nuova società
della comunicazione di riconquistare spazi abbandonati all’interno e fuori da
quelle città private della loro funzione originaria e agli architetti di
riconfiguararle secondo le nuove esigenze. La città funzionalista viene
abbandonata insieme all’idea seriale di vita secondo comparti omogenei per
abbracciare un nuovo fluire vitale di interconnessioni dinamiche che combinano
architettura, società e naturalità in un programma di mixitè. Potzdamer Platz di Renzo Piano, i Grands
Projects di Parigi, la nuova Barcellona che approfitta dell’evento
internazionale delle Olimpiadi per rilanciare economicamente la propria città e
gli stessi cittadini alla condivisione. Una vitalità, quella degli anni ’90,
che porterà architetti e paesaggisti a confrontarsi con un mondo alla deriva,
sofferente, distrutto dall’era macchinista, perpetuatasi per 150 anni: si
rivendicano l’ecologia e l’attenzione verso forme di energia sostenibile e
rinnovabile. Il progetto Biosphere 2
è un organismo un sistema fragile che va tutelato e preservato.
Altri gesti si possono menzionare per descrivere le
nuove scoperte: muovere emozionando, giustapporre sovrapponendo, dare
profondità attraverso le superfici. Santiago Calatrava sperimenta sculture in
movimento, che anche quando sono immobili animano il fruitore, facendolo
diventare anche spettatore. Rem Koolhas invece scompone immagini e spazi e realizza
architetture senza comporle, ma somma le parti dell’organismo creando
ibridazioni sempre diverse e suggestive, paradossalmente interconnesse. Le
trasparenze della facciata della Fondazione
Cartier di Jean Nouvel sono fittizie, sono come degli specchi, che mostrano
all’esterno non quello che c’è dentro ma quello che la società e il mondo vuole
vedere. La superficie è una pelle ed ha uno spessore: così Herzog & De
Meuron intessono le loro facciate. Peter Eisenman risponde in modo nuovo al problema del movimento attraverso l’operazione del blurring, cioè sovrapponendo singoli movimenti rotatori che sfocano e negano l’immagine di partenza; un’azione che genera spazi audaci di cui ha consapevolezza solo chi sa lavorare sulla sezione (Aronoff Centro per le Arti, Cincinnati, 1988-97). Folding, grafting, scaling generano spazi ricchi, multisfaccettati, ibridi, dinamici.
Frank Gehry concepisce i suoi spazi come una scena teatrale in cui i suoi personaggi-volumi possono esprimersi, seguendo percorsi e traiettorie scultoree e configurando spazi racchiusi nell’abito più comodo possibile. Il protagonista è lo spazio e il suo pubblico la sua pelle in un rapporto di reciproca dipendenza. L’architetto dimostra al mondo come l’architettura possa essere un catalizzatore di eventi, di economia, di socialità, come nel Museo di Bilbao: il consumismo diventa una pratica architettonica, entra a far parte della società come episodio, come fenomeno condivisibile da tutti.
L’«altro» nemico_testo scelto
ll libro (vedi unior.it) che
ho scelto di leggere si presenta come una raccolta di lezioni del corso di Relazioni interetniche del corso di
Laurea Specialistica di Scienze Politiche
de L’Orientale di Napoli, scritto dal
prof. Claudio Marta (scomparso nel
2008, antropologo prestigioso che sin dall’inizio degli anni ’80 si
impegna, da studioso e da attivista, nelle battaglie per i diritti degli
immigrati, dei Rom e dei Sinti contestando la politica dei «campi nomadi») in
collaborazione con Ciro De Rosa e Gianluca Gatta.

Le politiche migratorie in Italia nascono negli anno ’80, quando il paese migrante diventa paese d’immigrazione: la “Grande Emigrazione “ oltre l’Atlantico, le migrazioni in Europa negli anni ’20, lo status di rifugiati durante il Fascismo, gli anni ’50 e l’esportazione di manodopera, la drastica riduzione delle migrazioni negli anni ’70 della crisi post-fordista, lo sviluppo del settore terziario e i nuovi scenari produttivi e lavorativi, il crollo dei regimi socialisti e i migranti dell’Europa dell’Est, la stabilizzazione di nuovi migranti in Italia. Le prime leggi italiane sulle migrazioni non affrontano sistematicamente la questione degli ingressi, ma predispongono continue sanatorie, nasce la figura dell’extracomunitario, della Fortezza-Europa e l’inquietudine per l’immigrazione clandestina. Le leggi rispondono ad emergenze (L.943/86, Legge Martelli L.39/90, il disegno di legge restrittivo del primo governo Berlusconi nel 1995, D.l. 489/95 la nuova sanatoria di Dini). La prima legge organica è la Turco-Napolitano L.40/98, che si regge sull’integrazione e il sistema delle quote di ingresso. Si è timidi nel percorrere la strada della cittadinanza e i Ctp ( Centri di Permanenza Temporanea) diventano luoghi di sospensione del diritto. La legge, ritenuta troppo permissiva, viene modificata nella filosofia di fondo del testo dalla Bossi-Fini L.189/02 in senso restrittivo. La proposta di melting pot Amato-Ferrero del 2007 cade con il governo Prodi. L’immigrazione in Italia è sempre stata affrontata come una questione di ordine pubblico, misconosciuta a livello fisiologico dello scenario globale, l’idea dell’invasione, del pericolo, della marginalità e della criminalità, la generalizzazione degli stranieri, la produzione di leggende metropolitane e l’attuale fenomeno dell’islamofobia e del terrorismo fanno parte della società odierna.
Gli etnonazionalismi baschi in Spagna e in Irlanda del Nord e le guerre della ex-Jugoslavia degli anni ’90 non sono più conflitti tra stati, ma coinvolgono le popolazioni civili, gruppi paramilitari irregolari e vedono schierati uno contro l’altro dei gruppi etnici. L’etnicità diventa il nuovo paradigma per interpretare i nuovi conflitti post-Guerra Fredda, anche se le spiegazioni culturaliste oscurano le cause economiche, sociali e politiche che stanno alla base dello scontro. Questa visione riduzionista riprende dal passato una concezione primordialista dei legami etnici. La rivendicazione di autonomia statuale sulla base del riconoscimento di un’identità etnico-nazionale ha lo scopo di proteggere quel gruppo ed escludere fuori dai propri confini chi resta fuori; esasperare le barriere fino alla pulizia etnica e praticare l’omogeneizzazione forzata di un territorio. “creare” gruppi e ritagliare in maniera arbitraria alcuni elementi ha portato nella ex-jugoslavia ad effettuare gravi abusi sul concetto di etnia.
I Rom sono una delle “minoranze” più discriminate i Europa, se così la vogliamo definire. Negli anni ’70 si è iniziato a parlare di identità Rom e si salvaguardia della loro cultura in tutta la sua complessità, rapportandola ai contesti economici e sociali concreti in cui vivono. La presunta incompatibilità con la società maggioritaria ha finito per prescrivere forme di segregazione e discriminazione razziale, fino a forme di aggressione. La varietà dei sottogruppi “zingari” trova come elemento comune la lingua romanes, anche se ibridata nelle diverse versioni locali e contestualizzata all’insediamento. In Italia il numero delle presenze oscilla tra le 110 mila e le 160 mila persone, di cui 70 mila cittadini italiani. Tra i gruppi di antico insediamento troviamo i Sinti del Nord Italia dediti tradizionalmente allo spettacolo viaggiante; quelli dell’Italia centro-meridionale risalgono al XV secolo. Alla fine dell’800 si sono insediati gruppi dalla Moldavia e dalla Valacchia, mentre quelli più recenti provengono dalla ex-Jugoslavia. Il dibattito sulle minoranze linguistiche in Italia ha avvalorato la tesi territorialista, che esclude le comunità di lingua non italiana che appaiono nomadi, disperse o che non caratterizzano tradizionalmente alcun territorio. Il nomadismo ha condizionato pesantemente e negativamente le politiche italiane, assolutizzando un tratto culturale come alibi per non intervenire a favore delle popolazioni. La logica dei campi ha portato questa gente ad una rinomadizzazione forzata, all’unica soluzione abitativa possibile, come un problema sociale di ordine pubblico. Riconoscere la cultura rom come una specificità etnica da tutelare è necessario, ma per averne la garanzia bisogna comprendere il significato specifico che ciò assume nelle politiche di integrazione. E’ a livello locale e regionale che ci sono i maggiori problemi in quanto il coordinamento nazionale sugli interventi è assente e se ci sono rispondono alla logica dell’emergenza. Dagli anni ’60 si sono attuate politiche di integrazione sulla scolarizzazione secondo teorie che sono andate dall’assimilazionismo, all’integrazionismo, all’educazione interculturale degli anni ’90, in cui si riconosce la bilateralità dell’obbligo da parte delle P.A. e delle famiglie dei bambini rom. L’approccio complesso al problema, il relativismo culturale di base non ha portato a risultati concreti a causa dell’assenza di coordinamento nazionale. A livello europeo, il Consiglio d’Europa ha attivato dal 1996 il Comitato di Esperti sui Rom e i Viaggianti, il quale ha promosso diverse Raccomandazioni in materia di istruzione, lavoro, condizioni abitative, accesso alla sanità. Il Consiglio d’Europa e altri organismi europei hanno spesso, negli ultimi anni, criticato l’Italia per non aver operato in favore della rimozione degli ostacoli ad una piena integrazione dei Rom e dei Sinti. La concessione dei diritti di cittadinanza e politiche nazionali organiche e durature sul tema aiuterebbero ad abbandonare equazioni come zingari=criminali, zingari=ladri, zingari=ordine pubblico.
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